L'ipotesi - di un ex assessore all'Istruzione - di resistenza alla crisi attraverso la Comunità Sistemica Locale
Forse non ho fatto tutto bene in quel breve periodo in cui sono stato assessore alla Pubblica Istruzione. Mi hanno anche rimproverato, successivamente, di avere speso male i soldi pubblici pagando con denaro comunale una maestra per la scuola materna di San Silvestro. Ma in quell’anno successe qualcosa di nuovo e di straordinario, che forse non fu compreso in tutto il suo valore esemplare, ma che meriterebbe di essere ricordato come l’entrata di un pensiero comunitario sistemico nel nostro territorio.
Non per me, ma per gli abitanti di quella frazione che ne furono protagonisti, bisogna che ve lo racconto.
La Scuola di San Silvestro era in predicato di chiusura: pochi bambini ed edificio fatiscente. Alla gente del luogo però dispiaceva di perdere quel riferimento, non tanto perché le fosse impossibile mandare i loro bambini a Sant’Angelo, ma per il senso di appartenenza alla comunità che la scuola contribuiva a conservare: una vasta campagna e un piccolo centro abitato attorno alla chiesa e al bar di Bittoni.
Era il 1999, e allora i soldi c’erano - diremmo oggi. La giunta (interamente civica e tutta senza tessera di partito) aveva messo a disposizione della pubblica istruzione un miliardo di lire, che poi ho provveduto a spendere per riparare le scuole, che ne avevano un gran bisogno. A un certo punto, però, i soldi erano finiti e non ce n’erano più per la piccola scuola di San Silvestro. “Mettiamoci d’accordo”, dissi a quella gente. “Volete mantenere aperta la scuola? Il Comune vi mette a disposizione una maestra; voi però mettete il lavoro e restaurate l’edificio”.
Aprimmo una protezione assicurativa e loro si misero a lavorare. Impiegarono così tutte le ferie d’agosto; e c’erano, tra genitori e abitanti del luogo, il muratore, l’idraulico, il pittore, l’elettricista, il falegname, il vetraio e ogni altra professione necessaria; e ognuno volontariamente si diede da fare nel modo in cui lo sapeva fare. Il lavoro era in tutto un lavoro, ossia faticoso; ma fu anche una festa: arrivavano la mattina, lavoravano sodo, ma poi quand’era il pomeriggio non mancava mai chi portasse ciambellone e vino. C’era proprio una bella atmosfera.
A settembre il piccolo edificio era tornato come nuovo, fresco di vernice e perfettamente riassettato; e la scuola poté ricominciare. Ma non fu quello il solo risultato: un mese di lavoro volontario produsse un valore economico che poteva essere agevolmente affiancato col segno più alla spesa per lo stipendio di una maestra. E non valeva almeno una decina di milioni di lire del loro lavoro questo piccolo immobile che poco più di un mese fa è stato venduto dal Comune per 300mila euro?
Ma al di là di tutto sta il fatto che, in questo modo e con queste economie, era nata quella che oggi noi chiamiamo “una comunità sistemica”. Dispiace che in seguito mancò un perfetto intendimento del senso di quello che era successo; resta il fatto che per una volta s’era creato un rapporto scambievole tra comunità locale e amministrazione comunale.
Ho raccontato questa piccola vicenda perché mi consente di trarre un parallelo col presente. I genitori dei bambini privati delle snack protestano oggi sotto il comune e il Sindaco si sbraccia per spiegare che magari fosse solo una crisi di merende: qui il sistema dei servizi locali rischia l’osso del collo, se non si fa qualcosa.
Esiste un punto d’incontro tra le due prospettive, che non sia un semplice tiro alla fune?
Io penso di sì. Si chiama “comunità sistemica”, e la vicenda di San Silvestro ne è un primo esempio.
In quell’occasione Comune e comunità periferica non si proposero come soggetti contrapposti - la Comunità che paga le tasse e il Comune che eroga servizi - , ma come soggetti scambievoli e collaborativi, in un rapporto in cui ognuno mette il poco che ha, ma che insieme diventa tanto.
La connection delle merendine può essere un banco di prova. Se ci fosse una concorde regìa del Comune, non potrebbero formarsi Gruppi di Acquisto Solidale in modo che i diretti interessati gestissero la vicenda attivamente? La quota che ciascuno versa in cambio di un servizio non più economicamente sostenibile dal Comune, non potrebbe essere gestita comunitariamente e con migliori risultati se si costruisse un servizio a supporto della scuola da parte delle comunità locali, attraverso produzioni locali?
Una prima proposta di Comunità Sistemica pervenne all’Amministrazione Comunale a firma di Catia Fronzi e mia al sindaco Luana Angeloni nel luglio 2007. Fu ben accolta ma subito dimenticata. Comune e comunità la riprendano; e costruiscano insieme i mille modi in cui la loro collaborazione può dispiegare le sue forze e creare una maggiore densità locale. Può essere questa la via.
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